BY#14 – Paolo Cazzaro, la storia di una rinascita
Ci sono alcuni limiti che non si possono superare. Non molti, a dire il vero. Altri, invece, seppur apparentemente insormontabili, si trasformano in nuove opportunità. Sono la molla che ci spinge ad essere migliori. A fare un passo in più rispetto a ieri. In due parole: Beat Yesterday.
Oggi vi raccontiamo la storia di Paolo Cazzaro, uno dei vincitori dei Garmin Beat Yesterday Awards 2020.
Paolo ha 50 anni e fino al 2004 la sua era una vita normale, come tante altre, divisa tra lo sport (da giovane ha partecipato a due campionati italiani di triathlon olimpico, ma la sua vera passione è la bici) e la docenza di Urbanistica al Politecnico di Milano.
“Un giorno, dopo il funerale di mio nonno, ho avuto un brutto incidente in moto. Sei mesi di ospedale e poi la diagnosi: neuropatia periferica cronica con una componente algodistrofica molto marcata. Una lesione al nervo sciatico con esiti invalidati. Da quel momento la mia vita è completamente cambiata”.
Per Paolo, una volta dimesso dall’ospedale, è iniziato un periodo molto difficile. Il dolore era insopportabile.
“E’ come avere la gamba dentro uno scarpone da sci pieno di pezzi di vetro. Per curarmi mi trattarono per dodici anni con farmaci antiepilettici e antidepressivi. Pesavo 100 kg e fumavo quaranta sigarette al giorno. La mia vita era al collasso. Mi dissero che non avrei mai più potuto fare sport, che avrei dovuto camminare con un bastone. Dissi no, non può essere così. Non potevo accettare la mia disabilità. Non sono uno abituato a sedermi. Il giorno del mio quarantaquattresimo compleanno salii in montagna buttai via le sigarette. Mi disintossicai. Quel giorno capii che, se volevo ricominciare, dovevo buttare via tutto quello che era stato fino a quel momento e ripartire da zero”.
Ricomincio da qui: lo sport come medicina
La strada di Paolo per ricominciare a vivere non è stata semplice.
“Iniziai con cautela a compiere dei brevi giri in bicicletta, per riacquistare la sensazione di fisicità che i farmaci mi avevano lentamente sottratto. Cercavo di capire cosa mi potesse aiutare a contenere il dolore, che non mi dava tregua nonostante le dosi massicce di medicinali”.
La risposta Paolo l’ha trovata in un’antica passione, quella per la bici.
“All’età di 15 anni mia nonna mi portò per la prima volta in velodromo, ai Campionato del mondo. Di quella parabola, che fino ad allora avevo visto solo nei film, mi innamorati subito. Un colpo di fulmine”.
Paolo è ripartito da lì, dalla due ruote. In particolare dalla BMX.
“Un sogno infantile mai realizzato. Il primo in questa strana storia di sport e rinascita. Dopo un corso di un mese in un centro federale, mi trovai a girare su una pista in terra battuta. L’allenatore, Federico Ventura, ora allenatore della nazionale di freestyle, capi il mio disagio ma anche la mia forza di volontà e mi tenne in squadra nonostante non avessi alcuna capacità agonistica, a malapena stavo in equilibrio”.
“Mi servì però per capire che i neurotrofici stavano limitando la mia propriocettività e la mia fisicità. Chiesi ai neurologi se fosse possibile sostenere senza l’aiuto dei farmaci quel dolore lancinante che partiva dalle pelvi e come una sciabola infuocata arrivava fino al piede. Nessuno acconsentì, così iniziai autonomamente a diminuire le dosi quotidiane secondo le prescrizioni. Furono quattro mesi di terrore. Non dormivo la notte, riuscivo malapena a camminare. Mi riscontrarono una aritmia alla vista agonistica e mi sospesero per un anno dalla BMX. Non mi diedi per vinto. Iniziai ad allenarmi con la bicicletta in totale autonomia. Facevo le ripetute su una salita lunga e costante di notte, perché la sera il dolore era più sopportabile”.
“Un giorno notai che le endorfine, prodotte dall’attività sportiva, in parte riuscivano a farmi tollerare quel dolore martellante. Da lì la strada è stata tutta in discesa. Lo sport, praticato con attenzione e controllo, era il rimedio. Cambiai letteralmente modo di vivere, alimentarmi e lavorare”.
Gli incontri che cambiano la vita
Sulla strada della sua rinascita Paolo ha avuto la fortuna di incontrare un grande campione, Alex Zanardi. Fu lui, tre anni fa, a parlargli per la prima volta della federazione nazionale di paratriathlon. “Fu il secondo colpo di fulmine”. Una volta iscritto, a Paolo fu affidato un allenatore: Luca Zenti.
“In un anno portai a casa un terzo posto del campionato italiano. L’anno successivo, nel 2020, un argento al Mondiale di Winter triathlon categoria para PTS4”.
Fu proprio Luca Zenti a notare che, se nella corsa Paolo faticava non poco, nella bici aveva invece ottimi tempi. Così hanno deciso insieme di focalizzare sulle due ruote gli allenamenti.
Una nuova sfida, sul filo del limite
“Un giorno ho detto a Luca, e se provassi il record dell’ora? Lui prima è scoppiato a ridere, poi mi ha detto ‘facciamo un test del lattato e poi decidiamo’. Il record dell’ora è il sogno più intimo, quello potente quello che da anni spingeva sulla mia anima”.
“Non c’è differenza tra campioni e amatori: in un’ora ti giochi tutto – ci ha spiegato Mario Cipollini -. Non è una disciplina facile: devi pedalare sempre al tuo limite massimo, non puoi calare né aumentare e se devi convivere con dolori lancinanti è tutto molto più difficile. Ma quando hai un obiettivo da raggiungere sono le emozioni che ti spingono più in là”.
Più in là, verso il sogno di una vita. La possibilità di ricominciare, di nuovo.
Da ormai un anno, Paolo e il suo allenatore stanno lavorando a questo obiettivo: il record del mondo su pista categoria Mc4 di paraciclismo. I dati sono molto buoni. Il record non è così irraggiungibile e in questa nuova sfida Garmin sarà al suo fianco. Perché?
“Oggi il dolore è sopportabile. La notte mi squassa, come sempre da sedici anni, ma domani vado in velodromo e tutto magicamente passa, mentre giro a 45 km/h. lungo la parabola”.
Ecco perché.