BY#28 – Il sogno della UTMB
Nella vita tutto si può fare. O quasi.
Giuseppe Giuttari lo ha imparato dai suoi genitori.
Quando ha tagliato il traguardo della CCC all’Ultra Trail del Monte Bianco, il primo pensiero è andato a loro. Quello è stato il suo Beat Yesterday: la sfida vinta, un nuovo limite superato.
E pensare che a lui la corsa nemmeno piaceva.
“Sono sempre stato un ciclista amatoriale ma nel 2000, a causa di alcuni problemi fisici, ho dovuto abbandonare temporaneamente la bici. È vero, la corsa non mi è mai piaciuta ma cosa potevo fare? Nonostante non sia più giovanissimo, a 60 anni fermo non mi ci vedo. Così ho iniziato a correre, partendo dalla strada e dopo poco mi sono innamorato del trail. Amo molto la natura e per me è stata una sfida, quella di rimettere alla prova il mio fisico. Da amante dell’endurance, l’approdo alle ultramaratone è stato spontaneo”.
Arrivare alla UTMB
A consigliarlo per prepararsi alle lunghe distanza è stato il fratello Gianluca, un vero esperto, già vincitore della 100 Km del Sahara nel 2018.
“Conoscevo Chamonix, mi sarebbe piaciuto gareggiare lì e, in fondo, la UTMB è la regina delle ultra. Ho scelto di iscrivermi alla CCC, di 100 km. Per me, a 53 anni, i 168 km della UTMB sarebbero stati oggettivamente troppi: doveva essere una sfida impegnativa ma consapevole e in sicurezza. C’era chi mi aspettava a casa, perché rischiare? Anche i grandi come Simone Moro insegnano che a volte occorre saper fare un passo indietro”.
Giuseppe ha iniziato ad affrontare le gare pre-qualifica, per ottenere il ranking necessario all’iscrizione. Si è allenato spesso di notte, per preparare il corpo al passaggio dalla luce al buio.
“Tornavo a casa dal lavoro, alle 20 uscivo e tornavo alle 2, le 3 di notte. Correre invece di dormire comporta dei cambiamenti fisiologici a cui il fisico deve abituarsi. Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata ma amo gli sport di fatica”.
E alla fine Giuseppe è stato selezionato per la CCC.
Il giorno della gara
“Fine agosto 2014. Sono partito per Chamonix. Al cospetto di Sua Maestà il Monte Bianco, per correre 100 km da solo, con la luce, con il buio, con il freddo, la pioggia e il sole, a parlare con il vento, tra il sudore e la polvere, le barrette energetiche e le mani sporche, le vesciche, e la testa che ti dice “Dai Beppe ce la devi fare….”. Una frase che mi ha accompagnato come un padre accompagna il proprio figlio in una passeggiata”.
“Quando è scesa la notte, immerso nel buio, bagnato dalla pioggia ho realizzato che gli sforzi fatti nei mesi precedenti, gli allenamenti, i calcoli dei tempi da rispettare, erano la benzina che i avrebbe fatto andare avanti. Il momento più emozionante è stato l’arrivo al Rifugio Bonatti quando mi sono trovato davanti alle Alpi Svizzere: uno spettacolo che ti riempie di stupore. Il momento più duro invece è stato al mattino, quando è tornata la luce. Mi sono accorto che se non avessi aumentato il passo non sarei riuscito a stare nei tempi. Poi a un certo punto la roccia è come diventata fluida, e nulla mi è più sembrato insormontabile. Tutto è diventato più facile mano a mano che mi avvicinavo al traguardo. Gli ultimi 8 km sono stati i più belli, i più semplici. La gente, i tamburi, le urla”.
“Quando ho tagliato il traguardo, dopo 26 ore e 16 minuti, mi sono sentito come se fossi arrivato primo, ero come in un’altra dimensione. In quel momento non ho pianto, non ho esultato. Ho solo ringraziato chi mi ha insegnato che nella vita tutto si può fare: i miei genitori. Se ne sono andati troppi presto, ma sono cresciuto con il loro esempio come punto di riferimento. Da loro ho imparato che i sacrifici pagano e che se uno vuole può fare tutto”.
“Ho voluto portare a temine la CCC perché volevo vedere fino a che punto sarei potuto arrivare. Il nostro fisico e la nostra mente sono un’accoppiata vincente. E senza essere degli Iron Man, si può fare”.