BY#32 – Claudio Chiappucci, un’impresa storica
Oggi torniamo per un attimo indietro nel tempo, nei ricordi di quella che fu davvero un’impresa storica.
È il 18 luglio del 1992. Un sabato caldissimo, il termometro sfiora i 40 gradi.
Siamo al Tour de France e in programma c’è la tappa alpina, quella che da Saint-Gervais-les-Bains arriva al Sestriere.
Per tutti l’avversario da battere è sempre e solo uno, lo spagnolo Miguel Indurain, ma quel giorno, tra gli osservati speciali c’è anche un italiano: Claudio Chiappucci.
E proprio lui, con una fuga clamorosa e solitaria, lunga quasi 200 km, sarà il protagonista della tappa; “l’eroe” di quella che Gianni Mura, su Repubblica, definì “una delle più grandi imprese del ciclismo”.
Noi ce la siamo fatta raccontare direttamente da lui, “El Diablo” Claudio Chiappucci.
Tour de France 1992
“Era il 18 luglio 1992, si correva l’unica tappa italiana del Tour. Ho pensato che la volevo vincere, sarebbe stato importante, da italiano”, ci racconta con gli occhi ancora accesi dall’emozione di quel ricordo.
Un desiderio ambizioso per lui, gran scalatore ma al cospetto di un avversario più che temibile, Miguel Indurain, che nella carriera ciclistica ha conquistato cinque Tour de France consecutivi e due Giri d’Italia.
Indurain è stato il protagonista del Giro quell’anno e al Tour si sta riconfermando. Ma al Sestriere qualcuno è riuscito a rubargli la scena. E non solo.
Quando arriva al Col De Saisies, il gruppo ha percorso appena pochi chilometri dei 250 della tappa. Chiappucci passa improvvisamente al comando.
“Sono andato subito in fuga – spiega –. È stato un momento bellissimo, perché da lì è partito tutto. Ne è nata una lotta con me stesso”.
Un’intuizione, una scelta non premeditata perché, come dice lui stesso, “Le imprese storiche sono poche e non nascono a tavolino: arrivano inaspettate, strada facendo”.
Ed è ciò che accade quel giorno.
La fuga di Claudio Chiappucci
Claudio scatta davanti a tutti e prende rapidamente un buon vantaggio. Un’azione coraggiosa e rischiosa; “avventata“, dice qualcuno. Ad attenderlo infatti ci sono quasi 200 km e nessuno – forse nemmeno lui – è in grado di prevedere se riuscirà a mantenere quel distacco così a lungo. Soprattutto perché alle sue spalle c’è Miguel Indurain, uno abituato a vincere.
“Ho cercato di mantenere un passo che non mi affaticasse troppo ma che, allo stesso tempo, mi permettesse di capire cosa stava succedendo dietro”.
A ruota c’è il francese Richard Virenque, che punta alla maglia a pois di Claudio Chiappucci. Ma “El Diablo” non ci sta.
“Ho deciso di forzare i tempi anche con lui, l’ho staccato e sono rimasto solo. Sapevo che alle mie spalle la squadra di Bugno collaborava con Indurain e aspettavo di capire chi sarebbe venuto a darmi man forte, non volevo stare solo tutta la tappa. Invece non è arrivato nessuno e solo mi ci sono trovato per forza. A quel punto però non potevo più tirarmi indietro. Ero in ballo e dovevo ballare”.
Claudio si trova ad affrontare momenti durissimi. “Faceva caldo, molto caldo e la Val di Susa era lunghissima, con oltre 1000 metri di dislivello. L’ho ribattezzata la Valle di lacrime, perché quel giorno lì ho pianto. E non erano lacrime di felicità, ma di fatica”.
La grande salita e il traguardo
“Quando sono arrivato alla salita finale verso il Sestriere ho sentito il boato della gente, che era ai lati della strada per fare il tifo. In quel momento ero già oltre i miei limiti, ero debole, fragile: il loro incitamento è stata la motivazione che mi ha spinto ad andare avanti, l’apoteosi di quella giornata. Sono stati fondamentali”.
“Arrivato agli ultimi tre km sentivo che Indurain stava venendo a prendermi, che il vantaggio si stava riducendo. Mi sono detto che no, non poteva finire così. È come un grande amore: bisogna crederci fino alla fine”.
Ultimo km.
Claudio intravede il traguardo.
“Dopo tante ore da solo, il rettilineo finale è stata la cosa più bella. Mi si è aperto un mondo, mi sembrava di essere arrivato in paradiso. A quel punto non ho pensato alla maglia ma ad arrivare il prima possibile. Potevo solo dare il massimo. Quando sei lì puoi superare i tuoi limiti, perché non hai più altro davanti, solo il traguardo”.
Claudio dà fondo alle ultime energie rimaste, trovandole chissà dove, e le mette tutte in quella volata finale.
Taglia il traguardo e vince.
Al sue spalle Franco Vona. Alla fine anche il grande Indurain, dopo aver tentato la rimonta, si è dovuto arrendere alla fuga del Diablo.
“Una delle più grandi imprese del ciclismo”
Il Tour, anche quell’anno, fu vinto dallo spagnolo Indurain.
Chiappucci conquistò il secondo posto, il suo terzo podio consecutivo in Francia ma, più di tutto, mise la sua firma su un’impresa che tenne incollati allo schermo migliaia di tifosi collegati in diretta; che emozionò e fece sognare gli appassionati di questo bellissimo sport.
Un’impresa che sembrava impossibile e che ancora oggi, a distanza di 30 anni, resta una delle pagine più belle, più sofferte e per questo poetiche, della storia del ciclismo.
Perché le imprese, quelle vere, durano nel tempo.
“Indurain è il vincitore ma Chiappucci è l’eroe del Tour – scrisse Gianni Mura quell’anno -. Quello che Chiappucci ha fatto nella tappa del Sestriere è ai limiti del credibile, è una delle più grandi imprese del ciclismo. Indurain ha vinto il Tour, ma Chiappucci è stato più grande di Indurain”.