BY#36 – L’Urlo di Varese – Alessandro Ballan
Il 28 settembre del 2008, sul circuito di Varese, Alessandro Ballan conquista il titolo di campione del mondo in linea. Non è solo il successo più prestigioso della sua carriera ciclistica. È anche la storia di una vittoria inseguita con la stessa caparbietà e lo stesso coraggio con cui si insegue il sogno più grande che si ha nel cassetto.
La storia di un Beat Yesterday che ha scritto una delle pagine più belle del ciclismo italiano. Le emozioni di quel giorno ce le siamo fatte raccontare direttamente da lui.
Un mondiale tutto italiano
L’edizione 2008 del campionato del mondo in linea è andata in scena a Varese.
Le due precedenti (quella corsa a Salisburgo nel 2006 e quella del 2007 a Stoccarda) portavano la firma di un azzurro, Paolo Bettini. Dopo quei due trionfi, il mondiale tornava a casa nostra e Bettini era di nuovo tra gli osservati speciali.
Il 28 settembre, al via al Mapei Cycling Stadium, c’è anche Alessandro Ballan che, così come i suoi compagni, dovrà affrontare i 260,25 km di percorso, su circuito cittadino.
“Per noi italiani quello era un mondiale molto sentito – racconta –. Eravamo in casa nostra, quindi dovevamo per forza fare bene. Paolo Bettini aveva dichiarato pochi giorni prima la sua intenzione di smettere di correre e c’era in tutti noi il desiderio di farlo smettere da campione del mondo, supportandolo per il tris tricolore”.
“Nella prima parte il campionato del mondo era stato abbastanza lineare, il problema è che la gara cercava di addormentarsi. A 75 km dall’arrivo Bettini mi chiese di dare un po’ di movimento, d’iniziare a scattare.
All’ultimo giro mi sono trovato davanti con cinque compagni di fuga ed ero l’unico italiano. Stavo bene ma tiravo sempre con riserva. Passavo davanti ma senza aumentare troppo la velocità, perché volevo tenere le energie per il finale”.
“Potevo sognare e io sognavo di vincere il mondiale”
Mentre è davanti, Alessandro si guarda più volte le spalle, alla ricerca dei compagni di squadra.
“Arrivato in cima al Montello ho visto due maglie azzurre che si avvicinavano. Ho pensato che una fosse quella di Paolo Bettini ed ero pronto a sacrificarmi e ad aprirgli la strada. Invece non era Paolo. Con grande sorpresa mi sono accorto che si trattava di Damiano Cunego e Davide Rebellin”.
“Ho parlato con Davide, che era il nostro regista in corsa. Mi disse che dietro non sarebbe rientrato più nessuno e che la gara si stava facendo lì, che bisognava essere sicuri di vincere il campionato del mondo e che bisogna arrivare da soli”.
Per Alessandro Ballan il sogno di una vita è lì, pochi chilometri davanti a lui. Così vicino da apparire, tutto a un tratto, raggiungibile.
“Da quel momento è nata l’idea di provare a fare qualcosa. Potevo sognare e io sognavo di vincere il mondiale. E l’ho sognato proprio come poi l’ho vinto”.
La fuga di Ballan verso il titolo inizia negli ultimissimi chilometri.
“Arrivato in piazza Monte Grappa Ho preso il coraggio e la forza che servivano. Lo scatto in quel momento serviva anche per demotivare i miei avversari. In quegli ultimi chilometri ero stremato, ma avevo ancora mezza freccia nel mio arco e l’ho sparata tutta quanta lì. Ho cercato di rimanere freddo, concentrato, non potevo sbagliare nulla. Dovevo insistere, sopportare il dolore, l’acido lattico nelle gambe per dare tutto: mi stavo giocando il campionato del mondo”.
“A 300 metri dall’arrivo non ero ancora sicuro di vincere. Ero stanco, la velocità calava e sapevo che dietro mi stavano braccando. Sono sbucato dalla curva, mi sono girato una prima volta e non ho visto nessuno. Ho rallentato, mi sono girato di nuovo per essere sicuro e li ho visti, erano vicini, ma non sapevo a che velocità si stavano avvicinando. Potevo fare solo una cosa, insistere con l’azione”.
“Agli ultimi 70 metri l’ho capito. Ho capito che avevo vinto il campionato del mondo. Ho iniziato a togliere le mani dal manubrio, pensando a come esultare. Ho alzato prima il braccio destro, poi tutte e due. Le braccia alzate al cielo. Nella mia Italia, con la maglia della nazionale. Ancora oggi, pensarci mi fa venire i brividi”.
Un gesto bellissimo, un’immagine che è entrata nella storia e che ancora oggi ci fa rivivere la gioia, l’emozione di quel momento.
“Il dolore non mi ha mai abbandonato, soprattutto negli ultimi km di gara, ma quando sono entrato nell’ippodromo per i metri finali e ho sentito il boato della gente, quando li ho visti tutti in piedi, che esultavano e mi incitavano, in un attimo tutto è sparito. Alzando le braccia al cielo è svanito il dolore, sono svaniti gli sforzi, la fatica. In quel momento ho capito di aver fatto qualcosa di veramente eccezionale”.