Quali sono le tipologie di stretching
Lo stretching è una pratica fondamentale per migliorare la funzionalità del movimento, indispensabile per aumentare flessibilità e il range articolare: se eseguiti correttamente e con la giusta frequenza, i più comuni esercizi possono apportare innumerevoli benefici all’elasticità muscolare e alla mobilità.
Le tipologie di stretching più conosciute sono quello statico, passivo, dinamico e attivo, ognuna delle quali ha una modalità di esecuzione degli esercizi differente e scopi diversi: vediamo insieme quali sono le differenze e perché è importante includerle ed integrarle nella propria routine di allenamento.
Quali sono le differenze tra stretching attivo, passivo, statico e dinamico
A seconda del metodo utilizzato, i vari tipi di stretching possono essere inseriti in fasi diverse dell’allenamento: per capire come integrare correttamente gli esercizi nella propria routine è quindi importante sapere che cos’è lo stretching attivo, che cosa si intende invece per stretching passivo e conoscere le principali differenze tra statico e dinamico, scopriamo insieme quali sono.
ATTIVO
In questo tipo di stretching, l’allungamento avviene attraverso una contrazione muscolare che consente una distensione della muscolatura antagonista: l’obiettivo è prevenire le alterazioni a carico dell’equilibrio neuro-degenerativo riconducibili all’attività sportiva attraverso un uso consapevole della forza muscolare.
PASSIVO
La principale differenza tra stretching attivo e passivo riguarda la modalità di esecuzione dei movimenti: il raggiungimento di una determinata posizione di allungamento avviene in questo caso con il supporto di una forza esterna, esercitata attraverso l’uso di attrezzi o con l’ausilio di un partner. In questo modo è possibile lavorare al meglio sull’allungamento della struttura muscolare contrattile: è una metodica molto utilizzata nelle riabilitazioni post-intervento in quanto mira ad una rieducazione dell’ampiezza del movimento, ed è spesso adottata nella fase post-allenamento per decontrarre la muscolatura.
STATICO
Codificato da Bob Anderson, è sicuramente il più conosciuto: questo sistema prende spunto dallo yoga, sia per la tipologia di esercizi che per l’utilizzo della respirazione, e si esegue attraverso posizioni di massima flessione, estensione o torsione, della durata massima di 30 secondi. L’allungamento avviene in assenza di molleggio e attraverso movimenti lenti e controllati che contribuiscono a rallentare la risposta muscolare e la contrazione, per questo motivo se ne sconsiglia generalmente la pratica prima dell’allenamento.
DINAMICO
Impiegato nella maggior parte dei casi dagli atleti, consiste in un’oscillazione controllata degli arti, in assenza di slanci o scatti.
Gli esercizi coinvolgono braccia e gambe e tronco in modo attivo per portare gradualmente il soggetto a raggiungere la massima gamma di movimento: agiscono in modo particolare sull’elasticità di tendini e muscoli utilizzando serie di 8-12 ripetizioni che consentono al muscolo agonista di contrarsi rapidamente, favorendo l’allungamento dell’antagonista.
Richiedono una maggiore specializzazione e capacità di controllo con l’obiettivo di “riscaldare” tutte le strutture articolari e muscolari, attraverso l’aumento del battito cardiaco e della temperatura corporea. Utilizzato in fase di riscaldamento consente un miglioramento della performance sportiva e della mobilità, soprattutto negli sport tecnici in cui è necessario un corretto allineamento dei segmenti corporei.
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Sebbene la maggior parte degli esercizi siano eseguiti in modo passivo e statico, è importante includere tutte e quattro le tipologie di stretching: l’unico accorgimento da rispettare è quello di non raggiungere ampiezze superiori al proprio range massimo di movimento per non compromettere la prestazione successiva o non incorrere in traumi.
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